La rivoluzione digitale ha portato alla nascita di un modello economico in cui i dati e la conoscenza si attestano come la più promettente risorsa dell’era postindustriale. Nel concetto di conoscenza è insito un conflitto di fondo. Da un lato, l’interesse privato a capitalizzarne il valore, che rende strategica la proprietà intellettuale come forma di controllo del sapere. Dall’altro, l’interesse generale a riservare al pubblico dominio – ovvero alla libera fruizione collettiva – una parte sostanziale del capitale intellettuale, semantico e culturale. L’economia di rete, fondata sulla condivisione di conoscenza, soffre oggi un gap di contenuti in pubblico dominio. Appena il 10% del patrimonio culturale europeo è digitalizzato e meno della metà è accessibile in rete e disponibile per il riutilizzo. A risponderne è in primo luogo il diritto che stenta a riconoscere tutela alle istanze di accesso aperto ai beni comuni. La presente monografia indaga le varie branche del diritto che contribuiscono a restringere il perimetro del pubblico dominio: dal diritto d’autore, alla tutela dei dati personali, dal codice dei beni culturali, alla proposta di Data Governance Act. Conclude, infine, che nell’equo bilanciamento tra gli interessi in conflitto, ogni consociato vanta un diritto soggettivo alla libera utilizzazione dei beni immateriali che compongono il pubblico dominio: un “diritto al pubblico dominio”.

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