Le controversie in materia di greenwashing si stanno diffondendo, in particolar modo in Europa e negli Stati Uniti. Nel vecchio continente, l’attenzione delle associazioni ambientali e dei consumatori è stata rivolta alla comunicazione commerciale delle maggiori compagnie aeree, con quattro casi aperti, nelle quali si contesta la scarsissima effettività della politiche di compensazione delle emissioni portate avanti da tali compagnie, nonché si chiede la cessazione di claim come “Fly responsably”, “sustainable aviation” o ancora “protecting the future” nell’ambito di un’industria, come quella dell’aviazione, che da sola è repsonsabile di circa il 3,5% del cambiamento climatico. Negli Stati Uniti, con lo strumento delle class action, i consumatori hanno attaccato colossi del fast fashion e noti brand di moda, con accuse similari.
Tali contestazioni si stanno rivelando una strategia giudiziaria piuttosto efficace per iniziare a intaccare le politiche ambientali di queste grandi imprese.
Se, da un lato, un report di Greenpeace e New Weather Institute ha infatti mostrato come la comunicazione commerciale – asseritamente ingannevole – delle compagnie aeree abbia contribuito a produrre circa 34 milioni di tonnellate di CO2 in tutto il mondo, recenti ricerche hanno d’altro canto mostrato che il valore dell’impresa fluttua sensibilmente a causa dell’instaurazione di procedimenti per greenwashing.
Qui un approfondimento della questione.