Accusa di appropriazione culturale per marchio di calzature: implicazioni per la tutela della proprietà intellettuale indigena

Nella settimana appena trascorsa, il marchio di calzature Hoka è stato oggetto di critiche per l’utilizzo del termine “Hoka”, che in lingua Māori significa “volare”, senza che vi sia stata una previa consultazione o autorizzazione da parte della comunità indigena della Nuova Zelanda. Sebbene il nome sia registrato come marchio commerciale e l’azienda non abbia infranto formalmente alcuna norma internazionale, la vicenda solleva importanti questioni sul piano della proprietà intellettuale tradizionale e dei diritti culturali collettivi.

Esperti in diritto della proprietà intellettuale indigena hanno denunciato l’assenza di meccanismi efficaci per prevenire l’uso commerciale di elementi linguistici e simbolici appartenenti a culture originarie. Il caso evidenzia le lacune degli attuali sistemi di tutela – incentrati su diritti individuali e formalizzati – nel garantire la protezione di conoscenze e simboli tradizionali che sono invece collettivi, non scritti e radicati nella dimensione orale.

Il dibattito si inserisce in una più ampia discussione, condotta anche in sede WIPO, sull’opportunità di istituire strumenti giuridici specifici per riconoscere e tutelare la proprietà intellettuale delle popolazioni indigene. In assenza di tale riconoscimento, pratiche come quella di Hoka rischiano di perpetuare dinamiche estrattive che, pur essendo legali, possono configurarsi come culturalmente lesive e eticamente discutibili.

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