Con un’interessante sentenza (la n. 4677 del 30 gennaio 2014) la Cassazione ha chiarito il seguente principio: il modello 231, pure predisposto e attuato, non è automaticamente efficace quale esimente, per la società che lo adotta, dalle responsabilità da reato-presupposto.
Ciò vale in particolare laddove i meccanismi anti-reato previsti dal modello 231 lasciano margini di “evasione” proprio a quei soggetti (posti in posizione apicale) che dovrebbero essere più controllati dalla struttura organizzativa e dall’OdV.
Il caso è quello – noto – di Impregilo SpA, importante gruppo attivo nel settore delle costruzioni, quotato in Borsa: nel modello 231 era “tollerato”, di fatto, che l’ultima versione di ogni comunicato stampa verso gli operatori di mercato fosse rimesso alla totale autonomia decisionale del Presidente e dell’Amministratore Delegato.
Sia il GIP che la Corte d’Appello territoriale, in merito, avevano inteso “assolvere” l’impresa dall’accusa, formulata ex art. 25-ter lettere a) e r) – false comunicazioni sociali e aggiotaggio – dopo aver considerato adeguato e idoneo il modello 231. Ciò, va ricordato, anche in presenza della commissione dei predetti reati da parte del Presidente del CDA e dell’Amministratore Delegato (di fatto, quindi, dai due soggetti di vertice dell’azienda).
Contro la “doppia conforme” ha però proposto ricorso il Procuratore generale della Corte d’Appello, assumendo in buona sostanza che il modello elaborato dall’azienda processata ex D. Lgs. 231/2001 non fosse efficacemente prediposto ed attuato proprio con riferimento ai reati-presupposto di cui all’art. 25-ter, pure se questi ultimi vengono effettivamente contemplati dalla c.d. “Analisi dei rischi” facente parte del modello d’organizzazione.
In buona sostanza, secondo il Procuratore ricorrente non sarebbe stato correttamente valutato (e sufficientemente motivato) dal giudice a quo se la tutela approntata dal modello fosse o meno adeguata al rischio. Nessun controllo, sostiene il Procuratore, era contemplato dal modello 231 verso le facoltà di comunicazione con l’esterno dei vertici aziendali: ciò ha così lasciato aperta (spalancata?) la porta verso la – semplice quanto illecita – modifica dei comunicati stampa diffusi agli operatori del mercato dalla SpA.
E la Cassazione rileva in effetti una carenza di motivazione proprio nel passaggio in cui la Corte territoriale sostiene che i vertici aziendali hanno “eluso fraudolentemente” il modello di organizzazione. Per integrare la c.d. “elusione fraudolenta”, infatti, sarebbe necessaria un’attività complessa: nel caso di specie, al contrario, l’attività degli autori del reato-presupposto è apparsa (a parere di chi scrive) quantomeno agevole e non ostacolata proprio dal modello 231.
Ad una diversa sezione della Corte d’Appello di Milano l’onere di valutare nuovamente, ai sensi della normativa vigente, la tenuta del modello 231 di Impregilo.
Con esiti che, così posta la questione, appaiono prevedibili (e non particolarmente rassicuranti per la società).