La parodia nel mondo della moda è un tema controverso, che si è accentuato soprattutto negli ultimi anni con l’emergere di marchi che basano il loro successo sulla interpretazione scherzosa dei marchi di illustri brand, facendo sorgere così molte controversie legali.
In Francia una celebre casa di moda ha citato in giudizio un produttore di giocattoli statunitense per aver utilizzato il marchio e il motivo monogramma del brand per vendere un giocattolo che richiamava le borse della maison. Il tribunale ha stabilito che l’intento parodistico non esclude la contraffazione, sottolineando che l’uso dei marchi aveva uno scopo commerciale volto a trarre vantaggio dalla reputazione del brand, danneggiandone la distintività.
In Italia, invece, la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. II, n. 35166/2019) ha esaminato un caso di presunta contraffazione di marchi di moda da parte di un brand italiano che vendeva t-shirt con parodie di questi marchi. La Corte ha stabilito che una violazione di marchio si configura solo se c’è il rischio di confusione tra il prodotto parodiato e l’originale. In questo caso, le t-shirt parodistiche erano abbastanza innovative da evitare tale confusione, venendo considerate reinterpretazioni artistiche piuttosto che imitazioni. Con tale pronuncia, è stata ribaltata la giurisprudenza precedente, tradizionalmente più riluttante ad escludere una violazione di un marchio in caso di versioni parodistiche dei marchi rinomati.
In conclusione, la distinzione tra parodia e creazione artistica è molto sottile. Finora, i giudici italiani si sono schierati per i titolari dei marchi parodiati, riconoscendone il valore artistico. Tuttavia, queste decisioni si sono focalizzati solo sul rischio di confusione derivante dalla riproduzione di marchi altrui, senza considerare però il potenziale impatto sulla reputazione dei brand oggetto di “beffa”.